E’ nullo, in quanto ritorsivo, il licenziamento irrogato al lavoratore rientrato in servizio dopo una prolungata assenza per malattia: ciò è stato affermato da ultimo dalla Cassazione con la sentenza pubblicata il 23/9/2019 (n. 23583/2019)
La vicenda.
Un lavoratore, assunto alle dipendenze di una società come operaio specializzato, si assentava dal lavoro per malattia per un lungo periodo (circa sette mesi).
Rientrato in servizio, il datore di lavoro irrogava al dipendente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: veniva, cioè, motivato dalla scelta organizzativa di chiudere il settore produttivo cui il lavoratore era adibito, cui avevano fatto seguito la soppressione della posizione e della funzione dallo stesso ricoperta in azienda e la conseguente impossibilità di ricollocare lo stesso in altre mansioni uguali o equivalenti.
La Suprema Corte, con la pronuncia pubblicata il 23.09.2019 (n. 23583/19), ha confermato la sentenza della Corte di Appello: quest’ultima, dando ragione al lavoratore, non aveva ravvisato la sussistenza del cosiddetto giustificato motivo oggettivo, ma anzi aveva ritenuto sussistente, alla luce delle prove assunte, il motivo ritorsivo del licenziamento (volontà di rappresaglia per la lunga assenza del lavoratore per malattia).
Dello stesso avviso la Suprema Corte la quale ha precisato ulteriormente che per poter dirsi sussistente il carattere ritorsivo del licenziamento (e quindi per poter dichiarare il licenziamento nullo) occorre che tale intento sia stato il solo a determinare la volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro (vale a dire di licenziare il dipendente).
In altre parole, secondo la Cassazione, perché possa parlarsi di licenziamento nullo e quindi perché possa il dipendente essere reintegrato nel posto di lavoro, occorre che il licenziamento sia stato determinato esclusivamente dall’intento ritorsivo.