Infezione da Coronavirus (Covid-19) e prestazioni Inail

da | Apr 14, 2020 | Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Diritto della Previdenza Sociale

Il decreto legge 18/2020 (Cura Italia), adottato in seguito all’infezione da Coronavirus (Covid-19), contiene, all’art.42, sotto il titolo “Disposizioni Inail” alcune interessanti  previsioni in materia infortunistica.

Nel primo comma è prevista la sospensione di tutti i termini in materia, da quello di prescrizione del diritto a quello per l’esercizio della revisione e tutti i termini di decadenza, relativamente al periodo dal 23 febbraio al 30 giugno 2020. Nel secondo comma, invece, sono previste disposizioni specifiche per quanto attiene all’indennizzabilità delle conseguenze derivanti dal contagio da COVID-19  “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro”.

Vi è da dire che, in assenza di una tale specificazione da parte del legislatore, l’indennizzabilità delle conseguenze derivanti dal contagio da COVID-19, sarebbe stata comunque possibile in quanto, come da tempo già chiarito dalla Suprema Corte, vedasi sentenza del 16 maggio 2006 n°12559 :”la nozione attuale di causa violenta comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro; in maniera esclusiva o in misura significativamente diversa che nell’ambiente esterno, il quale, agendo in maniera concentrata o lenta, provochi (nel primo caso) un infortunio sul lavoro, o (nel secondo) una malattia professionale“.

L’importanza della previsione normativa dell’art.42, risiede nel fatto che, in tal modo, la malattia in questione si può assimilare a quelle tabellate con conseguente esonero, per il lavoratore, dall’onere della prova che su di esso, in caso contrario, incomberebbe.
E’ ben nota, infatti, la giurisprudenza della Suprema Corte, vedasi tra le tante la sentenza n. 26041 del 17.10.2018, secondo la quale, in tema di malattia professionale non tabellata (malattia cioè non espressamente contemplata nelle tabelle allegate al Dm 10 aprile 2008), la prova della causa di lavoro grava interamente sul prestatore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza.

La previsione dell’art.42, consente, invece, di superare tale ostacolo nella parte in cui specifica che “ Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro”.
Tale concetto è stato ancor di più chiarito nella lettera che la Sovrintendenza sanitaria centrale dell’Inail ha inviato, in data 17 marzo 2020 a tutti i direttori di struttura  nella quale è stato esplicitato che “in tale ambito di affezioni morbose inquadrate come infortuni sul lavoro si ritiene di ricondurre anche i casi di Covid-19 dei lavoratori dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale e, in generale, di qualsiasi altra struttura sanitaria pubblica o privata, assicurata con l’istituto, ossia, medici, infermieri ed altri operatori sanitari in genere, laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.

La conclusione è  la seguente: “sono da ammettersi a tutela Inail i casi in cui si ha estrinsecato il cd rischio specifico e il sanitario abbia contratto la malattia COVID-19”.

E’ interessante rilevare come, con la successiva circolare del 3 aprile 2020 n°13,  l’Inail abbia, ancor di più, esteso i confini nei quali si applica la presunzione di riferibilità del contagio allo svolgimento dell’attività lavorativa, estendendola non solo ai casi nei quali sono coinvolti gli operatori sanitari, ed infatti “A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari”.

La circolare 13 affronta, poi, anche il profilo dell’infortunio in itinere mettendo in evidenza che :” Posto che in tale fattispecie non sono catalogati soltanto gli incidenti da circolazione stradale, anche gli eventi di contagio da nuovo coronavirus accaduti durante tale percorso sono configurabili come infortunio in itinere” in tal modo sancendo, ad esempio, l’indennizzabilità del caso di chi può avere contratto il virus rientrando in autobus dal lavoro.

L’ultima annotazione in tema di infortunio in itinere è particolarmente interessante in quanto si pone, apparentemente, in aperto contrasto con la posizione che l’Inail ha assunto, almeno fino ad oggi, in relazione all’uso della propria vettura per recarsi al lavoro, chiarendo che “ In merito all’utilizzo del mezzo di trasporto, poiché il rischio di contagio è molto più probabile in aree o a bordo di mezzi pubblici affollati, al fine di ridurne la portata, per tutti i lavoratori addetti allo svolgimento di prestazioni da rendere in presenza sul luogo di lavoro è considerato necessitato l’uso del mezzo privato per raggiungere dalla propria abitazione il luogo di lavoro e viceversa. Tale deroga vale per tutta la durata del periodo di emergenza epidemiologica, secondo le disposizioni e i tempi dettati in materia dalle autorità competenti”.

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