Lo svolgimento delle operazioni peritali su fatti estranei al thema decidendum, nonché l’acquisizione di documentazione non prodotta dalle parti da parte del Consulente Tecnico d’Ufficio CTU, comporta la nullità della perizia a prescindere dal consenso delle parti.
Lo ha recentemente affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 31886 del 6 dicembre 2019 ove è stata dichiarata nulla una consulenza tecnica, disposta al fine di determinare se sussistesse o meno un errore degli operatori sanitari che avevano in cura un paziente deceduto in sala operatoria, poiché il CTU designato dal Giudice aveva provveduto ad acquisire ed a porre a base della propria relazione documentazione (nella specie, una cartella clinica) non prodotta dalle parti nei termini processuali ed in assenza di contraddittorio tra loro.
Come è noto, la consulenza tecnico d’ufficio ha la precipua funzione di integrare le cognizioni del Giudice ogniqualvolta, per la decisione della causa, occorra far uso di nozioni specialistiche, tecniche e scientifiche estranee al bagaglio culturale del magistrato. Del resto, il giudice, quale giurista, conosce le norme di diritto ma per le altre conoscenze specialistiche deve necessariamente rivolgersi al CTU.
Nel caso esaminato della Cassazione, la consulenza disposta dal Giudice aveva la finalità di accertare se i medici avessero o meno commesso un errore nella cura del paziente deceduto in sala operatoria, con conseguente responsabilità ascrivibile in capo agli stessi. Di tutta evidenza, in questa ipotesi, l’utilità dell’indagine peritale atteso che il Giudice non sarebbe stato altrimenti in grado di pronunciarsi in ordine alla richiesta risarcitoria spiegata in giudizio.
Tuttavia la Suprema Corte, dopo uno scrupoloso ed approfondito iter argomentativo, individua con precisione i poteri istruttori del consulente ed afferma il principio secondo il quale in tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare d’ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. A tale regola, proseguono gli ermellini, può derogarsi solo ed esclusivamente nelle ipotesi in cui la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti.
Il CTU, pertanto, non potrà mai indagare su questioni non prospettate dalle parti perché, in caso contrario, finirebbe per violare un duplice principio: da un lato, quello che attribuisce alle parti l’onere di allegazione e, dall’altro, quello in forza del quale il Giudice non può mai pronunciarsi in ordine a questioni non portate alla sua attenzione dai litiganti (in tal senso si veda anche Cass. civ., sez. III, n. 1020 del 19.01.2006). La nullità della consulenza, scaturente dall’avere il c.t.u. violato il principio dispositivo o le regole concernenti le acquisizioni documentali, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo e non è sanata dall’acquiescenza delle parti.
Nel caso in esame, il CTU, del tutto arbitrariamente, aveva acquisito documenti non ritualmente prodotti dalle parti (una cartella clinica) ed il giudice del gravame non avrebbe dovuto autorizzare siffatta acquisizione in deroga al principio dispositivo ed alle preclusioni assertive ed istruttorie. Per questo motivo, la Corte di Cassazione ha deciso di cassare con rinvio la sentenza impugnata affinché il giudice di merito decida applicando i principi di diritto poc’anzi enunciati.
Con la pronuncia testé richiamata, che ha suscitato non poche reazioni a livello dottrinale, la Suprema Corte si uniforma dunque a quella recente giurisprudenza secondo la quale l’obbligo, posto a capo delle parti, di allegare fatti e documenti a sostegno della propria domanda ha natura inderogabile, con conseguente nullità della sentenza emessa in violazione di questo principio cardine.